Nel dopoguerra molte ragazze ogni anno venivano assunte come lavoratrici stagionali nelle risaie del vercellese.
Da centinaia di anni la campagna attorno a Vercelli si identifica con la coltivazione del riso. Enormi distese di terra ogni anno in primavera si coprono d’acqua e diventano risaie. Il riso è una pianta molto delicata e necessita di particolari attenzioni per preservarlo dal giavone, un’erba infestante che lo soffoca. Il giavone è molto simile al riso e fino a 50 anni fa era necessaria la mano dell’uomo che doveva riconoscerlo ed estirparlo con le mani.
La manodopera impiegata era quasi esclusivamente femminile, si puntava sulla capacità delle donne di resistere alla fatica e sulla precisione delle loro mani che velocemente potevano individuare le erbacce e sradicarle dal terreno. La forza lavoro locale non era sufficiente e così migliaia di donne, le mondine, giungevano dalle zone povere del nord Italia (dall’Emilia e dal Veneto) per trovare occupazione nella monda del riso che durava 40 giorni; l’età minima era fissata dalla legge a 14 anni. Le donne arrivavano con i treni speciali organizzati dal sindacato agricolo: carri bestiame che le costringevano a viaggi durissimi.
Ogni giorno le mondine lavoravano dalle 8 alle 10 ore; entravano nell’acqua all’alba con i piedi nudi, dovevano stare piegate per eliminare l’erba l’infestante, un cappello di paglia (diventato il simbolo di questo lavoro) le proteggeva dal solleone e gli insetti pungevano in continuazione. Alla sera, sfinite dal lavoro, le mondariso avevano il tempo di rinfrescarsi in qualche corso d’acqua per poi tornare in cascina a cenare: riso e fagioli per 40 giorni! Per riposarsi c’erano i dormitori, enormi stanzoni ricavati nel sotto tetto della cascina, con le brandine di ferro e un materasso riempito di paglia. Le più anziane crollavano per la stanchezza subito dopo il tramonto e le giovani, invece, uscivano sull’aia, dove le aspettavano i ragazzi. Qualcuno portava una fisarmonica e immediatamente si dimenticava la stanchezza e si cominciava a ballare. Per alcune la monda fu l’occasione per incontrare l’amore. Quando tutto il riso era stato ripulito e assestato la stagione di monda finiva, la paga era fatta di pochi soldi e di 40 kg di riso da portare alle famiglie bisognose. Le donne ritornavano in treno, stravolte e spesso così mal ridotte da non essere accettate dagli altri viaggiatori. Acasa tanta miseria, per molte marito e figli ad aspettare: non c’era certo tempo per il meritato riposo. Contro la fatica quelle donne avevano da opporre solo la giovinezza che esprimeva nel canto tutta la sua forza liberatoria.
Dalla metà degli anni 50 il progresso tecnologico permise di usare diserbanti chimici contro le erbe infestanti: un solo trattore poteva fare il lavoro di 100 mondine e non ci fu più bisogno della manodopera femminile.
Sento molto l’impulso a recuperare il passato e la memoria perché io stesso provo la paura di perdere il tempo che vivo. Il mio film smentisce l’idea di vecchiaia che si possiede abitualmente: le donne di Sorriso Amaro trasmettono una straordinaria voglia di vivere che come non si è arresa un tempo alla durezza del lavoro, così sa resistere oggi all’incedere del tempo che passa.
Matteo Bellizzi
Italia / 2003 / 56 min.
Regia: Matteo Bellizzi
Produzione: Stefilm
Coproduzione: YLE- TV1 / Teema
con la partecipazione di RTSI Televisione Svizzera e Regione Piemonte