Terra Matta si ispira all’omonimo libro di memorie, pubblicato da Einaudi nel 2007 e scritto in un italiano inventato da Vincenzo Rabito, un ex bracciante siciliano, semianalfabeta ma di grande capacità narrativa. Rabito, nato nel 1899 a Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa, ha attraversato il secolo scorso, con le sue guerre, le sue ideologie, le vittorie e le sconfitte, le trasformazioni economiche e sociali, sempre in lotta per la sopravvivenza. In particolare le pagine sulla prima guerra mondiale sono state giudicate straordinarie per la capacità di descrivere la condizione materiale, la socialità e i pensieri di quei tanti ragazzi in trincea circondati dalla morte. Rabito ha poi condiviso il sogno della colonizzazione in Africa, è andato a lavorare in Germania negli anni più cupi, sotto le bombe, è stato testimone dello sbarco degli americani e, infine, nel dopoguerra, nell’Italia trasformata e modernizzata, ha raggiunto un relativo benessere. Attraverso i suoi figli è stato coinvolto nei fermenti giovanili degli anni Settanta.
La sua è la storia di un’irriducibile individualità ma, allo stesso tempo, è la storia di tanti “ultimi” che raramente hanno preso la parola. Si racconta con grande franchezza, anche rispetto a comportamenti meno ispirati da idealità. Ha pensato e agito come tanti altri italiani, che però, normalmente, non lasciano traccia di sé. La lettura delle sue pagine ci aiuta a capire aspetti di mentalità degli italiani (ma forse non solo degli italiani) al di là di facili stereotipi e luoghi comuni. Rabito scrive della sua sfortuna e della sua disgraziata vita, ma sicuramente non è un vinto. Non ha niente a che fare con i personaggi verghiani dei Malavoglia, schiacciati dal loro destino. E’ curioso delle città e del mondo, pronto a cercar fortuna oltre i confini nazionali. Riesce a “divertirsi” anche nei contesti più improbabili (come sotto le bombe, in Germania, durante la guerra). Come lui, una buona parte dell’umanità ne è stata capace. Ha raccontato la tragedia, la fatica, la fame, le malattie ma anche un’ insopprimibile vitalità motivata dal piacere di vivere.
Vincenzo Rabito non ha alcun preciso riferimento rispetto a un astratto “dover essere”. Non è, però, un amorale (anche se per Banfield avrebbe potuto essere un campione di “familismo amorale”). Sfamare la famiglia, e cioè esaudire un bisogno indiscutibilmente prioritario, è stato l’imperativo morale interiorizzato da bambino. Evitare che la madre fosse costretta a prostituirsi per dar da mangiare a se stessa e ai numerosi figli piccolissimi non era, d’altra parte, un modo di dire, se si pensa al degrado morale della popolazione meridionale più povera, così come è descritta da tanta letteratura e tanta storiografia su quel periodo. Sapersi “arrangiare”, pratica appresa da soldato, diventa una preziosa competenza per non soccombere: l’arte è venir meno alle regole “con giudizio” come anche conquistarsi la benevolenza e l’amicizia di chi ha il potere.
Rabito ha simpatizzato con i comunisti nel biennio rosso, è stato fascista durante il ventennio e nel dopoguerra socialdemocratico; per amore dei figli, contemporaneamente, si trovò a fare campagna elettorale per la DC e il MSI. L’esplicitazione della “fede politica” e, in qualche modo, la coerenza dei comportamenti con essa è un lusso che egli pensa di non potersi permettere. Le donne sono trappole, risorse, scoperta, divertimento, vergogna, fortuna e sfortuna. L’istruzione è assunta come il valore più alto: è “la scuola”, non dunque una generica “fortuna” o il denaro accumulato, l’unica certezza su cui Rabito ritiene possibile fondare l’aspirazione alla mobilità sociale dei figli e della famiglia nel suo complesso. Risolto il problema della fame, l’istruzione dei figli è dunque il “progetto morale”, condiviso da tanta parte delle famiglie italiane del dopoguerra (con particolare enfasi in quelle meridionali), che orienta tutte le sue scelte. La laurea in ingegneria del figlio maggiore è il goal della sua vita.
Italia / 2012 / 74′ / HD
Regia: Costanza Quatriglio
Produzione: Cliomedia Officina in coproduzione con Cinecittà Luce e in associazione con Stefilm
In collaborazione con Regione Sicilia