Una sera d’estate di molti anni fa: la città è deserta, è in corso la finale del campionato del mondo di calcio. Una donna, Teresa, raggiunge il Tevere e si lascia andare alla sua corrente. Gli abissi la inghiottono e la figlia Virginia, nel buio della notte, attraversa Roma: vuole trovarla e salvarla.
Virginia deve attraversare le profondità delle acque, della storia, dei miti, delle sciagure e dei bagliori vitali di una Roma senza tempo. Così può vedere di nuovo sua madre che emerge dall’oscurità del Tevere per volare verso Amor, “il pianeta della cura” circondato dall’acqua e dove le vie, le piazze, le fontane ricordano quelle di Roma e gli animali sono liberi di circolare.
Quante volte abbiamo pronunciato queste parole a una madre, a un fratello, a un’amante. La domanda che mi pongo e che sottende come un filo teso il film, risiede nel suo titolo, Amor. Esiste l’amore salvifico, quello che ci fa stare accanto agli altri qualunque cosa accada? È quello che mi sono chiesta il giorno della morte di mia madre Teresa. Lei se ne era andata e io non ero riuscita a fermarla.
E la depressione, che aveva bagnato come acqua ogni angolo della nostra esistenza, si era ritirata lasciando macerie.
Forse è questo quello che hanno provato nell’immediato dopoguerra i cittadini di Roma di fronte alla loro città distrutta. Il passato era pieno di buchi neri ma la vita chiamava e si doveva andare avanti. Da loro ho capito che l’unico modo per tornare a vivere era ricostruire i frammenti della vita di Teresa, metterli uno vicino all’altro, emulando chi l’aveva fatto prima di me con le rovine di Roma e, in questo modo, farla apparire di nuovo.
Recensione su SALE DELLA COMUNITÁ